Voglio esprimere Il mio incoraggiamento ed il desiderio affinché Lula possa nuovamente tornare ad essere il presidente del Brasile.
Non si tratta di un risarcimento per la vicenda politico giudiziaria che lo ha coinvolto, un’inchiesta che lo ha condotto in galera che aveva un evidente intento politico, ma piuttosto della necessità che il Brasile attraverso la sua leadership ritorni ad essere un Paese non più governato con un piglio autoritario e sprezzante nei confronti delle minoranze politiche ed etniche come é accaduto sotto la presidenza dell’estrema destra di Bolsonaro; degno erede della dittatura militare che si impose a cavallo fra gli anni 60 e ‘70.
Ho avuto modo di conoscere Lula; egli fu già candidato nel 1991, leader del partito dei lavoratori, una propaggine sudamericana del partito comunista si trovò senza significative alleanze internazionali anche a causa della temporanea caduta in disgrazia del comunismo.
Il ticket che perse quelle elezioni vedeva come suo vice Leonel Brizola già Governatore di Rio de Janeiro e leader del partito democratico laburista aderente all’internazionale socialista, ottimo amico di mio padre Bettino.
Fu Leonel a suggerire a Lula di venire in Italia a farsi conoscere ed a farsi sostenere dall’area di governo del Centro sinistra dell’epoca.
Furono proprio Craxi ed Andreotti, quest’ultimo attraverso la Cisl, a dare un contributo di solidarietà concreta a quella campagna perdente contro la destra brasiliana.
Quando nel 2004 Lula finalmente vinse le elezioni mi sentii in dovere di recarmi in Brasile per festeggiare questo evento, per incontrare Brizola che in occasione della scomparsa di mio padre mi inviò un’affettuosa lettera.
E così feci. Lula era diventato una sorta di icona, in particolare la sinistra del Pds dell’epoca ne aveva fatto un punto di riferimento.
All’insediamento riuscì ad infilarmi nella sala dei giuramenti assieme al governatore della Toscana Martini, a me noto per essere prima che un compagno un uomo politico italiano nato in Tunisia. A pochi posti dal mio sedevano i miei eroi musicali: Djavan e Caetano Veloso.
Erano venuti per festeggiare l’elezione a Ministro della Cultura di Gilberto Gil. Quest’ultimo mi riconobbe e mi diede un grande abbraccio.
La sera di malavoglia andai al ricevimento delle delegazioni straniere a Brasilia al palazzo presidenziale; una lunga fila attendeva per farsi ricevere dal presidente eletto, per una foto o una stretta di mano.
Insistette Bonalumi, il vecchio amico sindacalista cislino che aveva introdotto Lula nel nostro paese al cospetto dei governanti dell’epoca.
Lula aveva mantenuto un rapporto con gli ex comunisti, consideravo che gli ospiti di onore italiani fossero innanzitutto Cofferati e Giovanni Berlinguer giunti apposta dall’Italia. Il presidente però scorse da lontano Bonalumi che lo riconobbe e si profuse in un lungo e sincero abbraccio.
Addirittura, il sindacalista voleva farsi firmare la cravatta, Lula lo scherniva dicendo che non era il caso. E quando vengo introdotto a lui, Lula che vedevo per la prima volta in vita mia mi dà un grande abbraccio, e mi dice che senza il sostegno dei socialisti e di mio padre la sua prima battaglia non sarebbe stata possibile e che questo nuovo tentativo si ebbe anche grazie all’incoraggiamento internazionale di quell’epoca.
Ho seguito da lontano le sue evoluzioni politiche, ho mantenuto rapporti sino alla sua morte con Leonel Brizola e interloquito sovente con esponenti del PT e del governo brasiliano.
Ho continuato ad osservare le sue evoluzioni politico culturali sul piano interno, rammento che più di una volta ha asserito di avere operato una svolta politica ed ideologica del suo partito; lo stesso Brizola che era un socialdemocratico purissimo me lo sottolineò.
Il PT era uno dei più grandi partiti operai del pianeta ed è ancora il più grande partito di sinistra in America Latina. In origine ha riunito un’ampia varietà di settori sociali mobilitati: sindacato innanzitutto che ne è la spina dorsale, attiviste di associazioni, femministe, quartieri, ma anche molte comunità credenze cristiane di base, ispirate dalla “teologia della liberazione”.
In vent’anni e dopo tre sconfitte elettorali consecutive alle presidenziali, il partito è molto cambiato. Da programma anticapitalista iniziale, che prometteva un’alternativa radicale, il discorso è diventato sempre più moderato, di centrosinistra.
Per riassumere, si potrebbe dire che la politica di Lula ha combinato una politica macroeconomica neoliberista con una politica di assistenza sociale mirata alla povertà estrema, che alla fine ha permesso una certa stabilizzazione del sistema e così spiega che questa gestione è stata accolta all’unanimità dai big latinoamericani delle attività commerciali.
Possiamo quindi qualificare questa gestione come “socialismo-liberale alla brasiliana” o forse, come dicono alcuni: “liberal-sviluppista” poiché lo Stato brasiliano sotto Lula intendeva sempre regolare e dirigere parte dell’attività economica dei paesi (via Petrobras e in particolare il settore energetico).
É naturalmente una visione che deve tenere conto della realtà brasiliana e sudamericana sempre ammantata di populismo strisciante che tende tuttavia a riferirsi ad esperienze non dissimili da quelle europee reinterpretate e adattate.
Lula è un uomo anziano ed ha lottato in modo sofferente in questa battaglia politica; è reduce dalle accuse dell’inchiesta ispirata a “manipulite” (non a caso denominata “lava jaito”) che lo hanno condotto più di un anno in prigione; ha perduto la moglie e ritrovando un nuovo amore ha ripreso il suo cammino.
Mi auguro, per la Democrazia Brasiliana, che possa vincere la sua battaglia. Che la grande nazione amica possa rivedere una luce di speranza così come i suoi milioni di diseredati sempre a rischio di sopravvivenza e le sue sterminate foreste, polmone per l’umanità, che rischiano l’estinzione.