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ArcelorMittal, un accordo che non convince

by Romano Franco

C’è solo da rivedere qualche dettaglio e l’accordo per il ripristino dell’Ilva è ormai chiuso. Così lo Stato torna azionista della più grande acciaieria d’Europa.

Da parte degli indiani vi è la rinuncia di richiesta di recesso del contratto di affitto e il governo ritira il ricorso al tribunale di Milano. Per non mandare a casa 10mila lavoratori il contribuente pagherà più o meno un miliardo di euro, uno sconto di oltre la metà su quanto il gigante dell’acciaio si era impegnato a pagare: il credito del governo si trasformerà in una quota di Mittal Italia. Quanto varrà la quota, lo si capirà in un secondo momento. Per ora lo Stato si è preso una bella fetta della torta, un ricco 30 per cento.

È così che l’hanno presentata, come una grande vittoria, abbiamo dato una mazzetta da un miliardo di euro per tenere a galla un’azienda senza scrupoli che non ci impiegherà molto a svuotare tutto per poi ritornare punto e a capo. Sì, perché è questa la verità su ArcelorMittal, presentata come un’azienda poco credibile in passato. Un’impresa che non tiene conto dei rischi ambientali, non si preoccupa delle condizioni dei suoi lavoratori, tanto valeva regalarglieli questi soldi, avremmo meno problemi in futuro.

Come al solito, si fanno le cose per un tornaconto personale e non per un bene comune. Hanno dato una bustarella da un miliardo di euro solo ed esclusivamente per non mandare a casa diecimila lavoratori. Ottima la mossa del politico di zona, se tutto gli va bene ha guadagnato un bel po’ di voti! Peccato che durino massimo fino alle prossime elezioni.
Il lavoratore deve essere tutelato, senza dubbio, come il contribuente e la città di Taranto; ed è qui che sorge spontanea la domanda: perché pagare così tanto per non avere voce in capitolo? Se avessero speso il doppio per averne il controllo sarebbe andata diversamente. Il fatto è che ArcelorMittal ha già dato prova della poca credibilità e della sua mancanza di scrupoli. E allora perché? Solo perché nel breve termine ci vanno a guadagnare tutti? Analizziamo la faccenda e vediamo chi ci guadagna da questa grande operazione: il politico ha ancora voti, il lavoratore ha ancora un lavoro e la società ha avuto soldi da investire.
Ma cosa accade nel lungo termine? La società ArcelorMittal Italia per via della sua politica aziendale si ritroverà di nuovo in crisi, i lavoratori saranno di nuovo a rischio, il contribuente ha il 30 per cento di una società che ha dimezzato il suo valore e il politico nel frattempo perde la sua credibilità. Dunque, chi ci va a guadagnare? L’unica che ci guadagna è la multinazionale che finirà per sottrarre soldi e lavoro. E i politici, che ancora una volta si sono dimostrati incapaci ad affrontare la questione, al posto di scontrarsi con la realtà temporeggiano e rimandano per non affrontare il problema e lasciare che la questione si protragga nel tempo.

Il pre accordo prevede non meno del 30 per cento e la quota dovrebbe essere rilevata da Invitalia. Se il veto degli azionisti privati – le Fondazioni bancarie – venisse meno, il Tesoro non sarebbe contrario all’investimento. Un investimento che però non garantisce nessun utile per questo motivo non si è proceduto con l’acquisto tramite la Cassa depositi e prestiti.

Ecco cosa ne pensa Marco Bentivogli, leader dei metalmeccanici Cisl: ” In questa fase non siamo stati coinvolti. Speriamo solo che la partecipazione pubblica non serva ad agevolare la exit strategy dell’azienda”. Il sospetto è legittimo: prima del pasticcio attorno allo scudo penale sui reati ambientali, i Mittal avevano promesso ben quattro miliardi di investimenti. I numeri che circolano non sono rassicuranti, più di mille lavoratori sono in cassa integrazione e se ne aggiungeranno altri 2000. Nell’arco di un triennio queste persone usciranno dall’azienda. Sono state dimenticate inoltre le promesse di fare dell’Ilva un’azienda “full green”. E’ davvero questo il prezzo da pagare per tenere in piedi l’Ilva ?! Sperando che nel frattempo non si scateni la recessione che potrebbe affossare una società che perde già cinquecento milioni di euro l’anno. Sarebbe l’ennesima debacle per Pantalone, che si stà ancora leccando le ferite ancora aperte della vicenda Alitalia.

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