La tenace lotta a Corleone di Bernardino Verro, il sindaco socialista ucciso dalla mafia nel 1915

La mafia ha una storia secolare di prevaricazioni, violenze, sangue e soprusi, e a farne le spese, nel lontano 3 Novembre 1915, fu Bernardino Verro, sindaco socialista di Corleone.

Quel giorno si consumò il dramma quando il Sindaco alle 15 congedò i due vigili urbani che lo accompagnavano sino a casa con queste ultime parole :“Picciotti, andate a casa… Fra poco piove e questi due passi li faccio da solo”.

Era appena uscito dalla casa comunale e le due guardie gli facevano da scorta poiché da molti anni la mafia lo odiava ed era sempre possibile un attentato nei suoi confronti.

Prima di arrivare a casa lo fermarono i sicari che gli spararono dei colpi di rivoltella per poi finirlo con un proiettile alla nuca.

Bernardino fu una grande e straordinario protagonista delle lotte sociali in Sicilia, avviate con la costituzione dei Fasci siciliani, movimento di rivolta della società contadina e operaia.

Bernardino Verro era nato nel 1866 ed aveva 49 anni quando venne assassinato. Da ragazzo mostrò subito un carattere di incomprimibile ribelle e un innato desiderio di cambiare la realtà in cui viveva.

Fu espulso dalle scuole del Regno e successivamente riuscì a lavorare come impiegato all’ufficio anagrafe bestiame del Comune. Tuttavia venne licenziato per avere fondato nel 1892 un circolo radicale, “La Nuova Età”.

Si diede da fare nell’impegno politico e si legò con relazioni di intensa amicizia ai socialisti fondando nello stesso 1892 il Fascio dei lavoratori.

Gli agrari e i mafiosi decisero che doveva essere ucciso, anche se un mafioso gli rivelò che a volerlo morto erano gli agrari, non i mafiosi.

Cosicché nell’aprile del 1893 accolse l’invito di un “fratuzzo”, un membro della mafia corleonese, di “associarsi”, di far parte della mafia e di essere “iniziato” con una cerimonia in cui giurò fedeltà alla “società segreta” con la classica puntura del dito, il sangue asciugato con un foglio di carta in cui era disegnato un teschio, che veniva poi bruciato e alla fine vi era lo scambio del bacio con i presenti.

Con questa pratica, nella mente di Verro, vi fu non solo il desiderio di aver salva la vita ma anche l’illusione di avere alleati mafiosi contro i nemici dei contadini: i proprietari terrieri; immaginando con “puro candore” che la mafia fosse una sorta di società di mutuo soccorso.

In realtà, nel disegno utopico e ingenuo di Verro vi era l’idea di costruire un fronte comune per il riscatto sociale della povera gente.

Sin dall’inizio però si comprese che il contesto sociale era assai diverso e nel 1893 vi fu un grande sciopero agrario che iniziò ad agosto e durò sino a novembre in cui Bernardino Verro capeggiò la lotta mentre i “fratuzzi” boicottarono lo sciopero, organizzando azioni di crumiraggio, e fu così che Bernardino prese una strada assai diversa da quella mafiosa.

Pertanto gli “uomini d’onore” lo considerano un traditore. Temevano che Verro potesse denunciare alle pubbliche autorità l’organizzazione mafiosa e nello stesso tempo potesse divenire un pericoloso sovversivo dell’ordine costituito e, quindi, decisero di vendicarsi.

Verro si distinse per tenacia e audacia, divenne un prestigioso capo popolo, del movimento contadino e allo sciopero agrario parteciparono oltre 50 mila persone.

Da questa mobilitazione nacquero i patti di Corleone in cui per la prima volta si regola il rapporto tra datori di lavoro e lavoratori.

Ma tra la fine del 1893 e nei primi giorni del 1894 il movimento dei Fasci siciliani venne represso dalle forze militari regie con più di 100 morti, proprio su ordine del capo del governo Francesco Crispi e dei campieri mafiosi. I Fasci vennero sciolti e Verro, insieme agli altri dirigenti, fu processato e condannato.

Verro ritornò a Corleone dopo l’amnistia tentando di ricostruire la Federazione della terra, ma questa organizzazione venne sciolta per legge.

Bernardino subì una condanna e andò in America a promuovere le idee socialiste. Tornò a Corleone e fondò una cooperativa di consumo, la sua popolarità non era scemata e venne eletto al consiglio comunale.

Continuò ad essere perseguitato subendo una condanna per alcuni articoli pubblicati sul foglio “Lu Viddanu” e fu costretto ad andare in esilio in Tunisia e a Marsiglia.

Ritornò un’altra volta a Corleone nel 1905 e non perse tempo dando vita già nel 1906 all’Unione agricola per gestire l’affittanza collettiva, che puntava a sostituire il gabelloto mafioso con la cooperativa contadina.

La mafia si schierò sempre con gli interessi dei grandi proprietari terrieri e vi fu una lunga scia di sangue in quegli anni a cominciare dall’ ottobre 1905 quando venne ucciso il contadino socialista Luciano Nicoletti, nel gennaio del 1906 Andrea Orlando, medico socialista, nel 1911 a S. Stefano Quisquina e Lorenzo Panepinto, dirigente socialista.

I mafiosi non si limitarono ad utilizzare la violenza per intimidire e reprimere ma si infiltrarono nella vita politica, controllando l’amministrazione comunale di Corleone nonché la cassa rurale cattolica S. Leoluca.

Verro scoprì queste collusioni e li denunciò, cosicché il 6 novembre 1910 venne fatto oggetto di un attentato. Successivamente Verro venne accusato dal cassiere dell’Unione agricola, Angelo Palazzo, un personaggio ambiguo, di aver falsificato delle cambiali motivo per cui venne condannato a dieci mesi di carcere.

Verro fu un uomo irriducibile e combattivo, non si arrese mai e, nel luglio del 1913, ritornò a Corleone presentandosi alle prime elezioni a suffragio universale maschile e fu eletto nel giugno del 1914 come consigliere comunale e dopo ricoprì la carica di sindaco.

A quel punto Verro avendo raggiunto l’apice della popolarità, divenne veramente pericoloso per gli interessi dei ricchi e dei mafiosi e da lì a poco iniziò un clima nuovo con arresti e con proposte di ammonizione che cominciarono ad arrivare, molti pensarono che dietro questo nuova situazione vi era la sua opera.

Infatti Palazzo dichiarò: “Verro si è dato anima e corpo alla questura”. Questo lo scenario in cui la mafia uccise nel novembre del 1915 il povero Bernardino Verro.

Tredici persone tra cui Palazzo furono rinviate a a giudizio come mandanti dell’assassini e il processo, iniziato il 4 maggio del 1918, si concluse con la loro assoluzione con il pubblico ministero Edoardo Wancolle che condivise le tesi dei difensori degli imputati e abbandonò l’accusa.

Nella sentenza di rinvio a giudizio si affermò che a Corleone ci fosse la mafia e che quel che scrisse Verro in un suo memoriale corrispondesse al vero. Le modalità del suo assassinio erano mafiose, però, si affermava nella sentenza che “rimane evidente che siffatto delitto non fu consumato da comuni delinquenti, ma da delinquenti consci di poter contare, se visti, nell’altrui silenzio per quella potenza intimidatrice nascente da una organizzata associazione a delinquere”.

In parole povere il delitto è mafioso però gli imputati, tra cui figurano mafiosi noti, non lo hanno commesso. A Verro furono dedicate pagine da grandi storici Francesco Renda, Giuseppe Carlo Marino, Salvatore Lupo, John Dickie.

Fu certamente un fiero precursore del movimento contadino a cui si oppose la mafia, ma, ancora oggi, gran parte di questa storia rimane sepolta dallo stereotipo secondo cui tutto sarebbe cominciato solo alcuni decenni fa.

E Corleone, che fu la terra della mafia di Riina e Provenzano, è stata piazza di scontro delle lotte contadine, continuate nel secondo dopoguerra con una grande partecipazione che videro anche il sacrificio di Placido Rizzotto.

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