A Palermo 42 anni fa venne ucciso dalla mafia Boris Giuliano

Sono passati 42 anni dalla barbara esecuzione per mano mafiosa del vice questore e capo della squadra mobile di Palermo, Giorgio Boris Giuliano, un investigatore di grande professionalità, di immensa tenacia e di lucida intelligenza, che seppe operare in una realtà dominata da Cosa nostra senza mai indietreggiare  in un contesto difficile e pericoloso, alla vigilia della guerra tra le cosche perdenti e vincenti.

Boris Giuliano merita un posto di primo piano tra le vittime della mafia perché non aveva paura di affrontare la criminalità a viso aperto, muovendosi anche senza scorta nella città con una capacità e una dedizione assoluta e con il fiuto di un poliziotto impareggiabile.

Giuliano era nato a Piazza Armerina in provincia di Enna dove adesso riposa nel cimitero. Trascorse parte della sua infanzia in Libia dove il padre svolgeva servizio presso la Marina militare in qualità di sottufficiale.

In seguito la famiglia rientrò in Italia stabilendosi a Messina dove il giovane Boris si laureò in giurisprudenza nel 1956. A trentadue anni vinse il concorso di commissario nella Polizia e l’anno dopo nel 1963 chiese di essere assegnato a Palermo, entrando nella Squadra mobile e lavorando inizialmente alla sezione omicidi, come vice-dirigente e infine dirigente sin dall’ottobre 1976.

Dimostrò subito straordinarie doti umani e professionali ottenendo numerosi riconoscimenti anche a livello internazionale e riuscendo a conseguire anche una specializzazione presso la FBI National Academy.

Giuliano fu nominato capo della Squadra Mobile di Palermo al posto di Bruno Contrada, suo grande amico e che in seguito nel 1992 sarà coinvolto e arrestato per collusioni con la mafia.

Si occupò delle più rilevanti e importanti indagini sul crimine organizzato e una della più rilevante fu quella sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro di cui ancora oggi non si sa nulla di certo.

Giuliano portò avanti l’indagine sin dal rapimento nel 1970 e tuttavia si dovette misurare con numerosi ostacoli e con l’affiorare di moventi diversi poiché il giornalista era stato nel passato aderente alla Repubblica Sociale di Salò ed era, inoltre, molto legato all’esperienza della X^ flottiglia Mas, di Junio Valerio Borghese, torbida e inquietante figura del fascismo italiano.

Nonostante questa estrazione di destra ,forse per interessamento di Enrico Mattei, presidente dell’Eni, lavorò prima al ‘Il Giorno’ e poi appunto nel giornale di sinistra L’Ora. In questo giornale cominciò l’attività di cronista d’inchiesta sulla mafia con un margine d’indipendenza ampio e garantito.

Poco prima di essere ucciso De Mauro ebbe contatti con il regista Francesco Rosi che si accingeva a realizzare un film sulla vita di Mattei e il giornalista pare avesse raccolto notizie importanti al punto da confidare alla figlia che avrebbe conseguito per queste informazioni, una “laurea in giornalismo”.

Si è sempre pensato che De Mauro avesse documenti e informazioni sui traffici di droga o sulle connessioni fra la mafia e il potere.

Poi, la singolare coincidenza della scomparsa del giornalista proprio nel momento in cui il suo amico Borghese, al punto da chiamare in onore del comandante una figlia Junia, stava preparando il cosiddetto golpe dei forestali.

Tuttavia le indagini che sembrano accreditare l’ipotesi del movente dell’assassinio di Giuliano sono quelle del 1979 quando il commissario indagò sul ritrovamento di due valigette contenenti 500.000 dollari all’aeroporto di Palermo che si scoprì poi essere il compenso di una partita di eroina che venne sequestrata all’ aeroporto di New York nell’ambito dell’inchiesta Pizza Connection su cui lavorò in una maxi inchiesta Giovanni Falcone.

Contemporaneamente a questa indagine, gli uomini di Giuliano fermarono due boss mafiosi, Antonino Marchese e Antonino Gioé e durante la perquisizione venne rinvenuta nelle tasche una bolletta con l’indirizzo di via Pecori Giraldi.

In questo appartamento i poliziotti fecero la scoperta di armi, quattro chili di eroina nonché una patente contraffatta sulla quale era incollata la fotografia di Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina.

Venne trovata anche una foto in cui erano ritratti mafiosi vicini ai corleonesi tra cui veniva immortalato un camorrista Lorenzo Nuvoletta, che era affiliato anche a Cosa Nostra.

Subito dopo iniziarono le minacce di morte per Boris Giuliano con telefonate anonime alla Questura di Palermo. Nel frattempo Giuliano stava svolgendo una delicata indagine su alcuni assegni trovati nelle tasche del cadavere del boss mafioso Giuseppe Di Cristina, che venne ucciso nel 1978 quasi all’inizio della guerra di mafia dichiarata dai corleonesi contro i clan di Bontade e Inzerillo.

Questi titoli di credito avevano portato alla scoperta di un libretto al portatore della Cassa di Risparmio con 300 milioni intestati a un nome di fantasia che in realtà era stato usato dal banchiere Michele Sindona.

Per queste indagini Boris Giuliano aveva incontrato l’avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore delle banche di Sindona, che venne ucciso pochi giorni dopo aver visto Giuliano che, come si scoprirà in seguito, l’omicidio fu ordinato dallo stesso banchiere della mafia.

Come si evince chiaramente, il dottore Giuliano erano impegnato in inchieste scottanti e pericolose e giunse inesorabile per lui la condanna a morte di Cosa Nostra con la sentenza che venne eseguita il 21 Luglio del 1979.

Mentre era da solo e pagava il caffè appena consumato nella caffetteria Lux di via Francesco Paolo Di Blasi, a Palermo, venne vigliaccamente colpito alla spalle con sette colpi di pistola da Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina.

Dopo pochi mesi venne ucciso a Monreale anche il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile che molto probabilmente cadde vittima delle cosche perché stava svolgendo indagini sull’omicidio di Boris Giuliano e stava proseguendo l’azione investigativa del filone di indagini intraprese dal commissario.

Dopo un lungo iter giudiziario, il 30 gennaio 1992, la prima sezione della Cassazione rinviò il processo in appello e tra il 1993 e il 1995 la Corte d’Appello il 18 marzo 1995 condannò all’ergastolo come mandanti dell’omicidio Basile Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Francesco Madonia, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci.

Mentre nel 1993 un nuovo processo per l’omicidio Giuliano ebbe un unico imputato Leoluca Bagarella, che venne indicato dai collaboratori di giustizia Francesco Marino Mannoia e Salvatore Cangemi come l’autore materiale dell’atroce delitto.

Per tale omicidio Bagarella venne condannato all’ergastolo, con la sentenza confermata dalla Cassazione nel 1997. Oggi ci sono state le celebrazioni sul luogo dove venne ucciso e su questi eroici servitori dello Stato non deve mai calare l’oblio e la dimenticanza.

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