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23 febbraio 1933, per non dimenticare il valore di Pertini il libertario

by Emilio Graziuso

Il 23 febbraio 1933 è una di quelle date che abbiamo il dovere di salvare dall’oblio del tempo. Una data che dovrebbe essere riportata sui libri di storia e riproposta all’attenzione dell’opinione pubblica.

Essa, infatti, al di là degli aspetti “romantici” che si potrebbero associare al rifiuto della grazia da parte di un condannato, ci spinge a riflettere, a soffermarci sulla statura degli uomini che hanno liberato l’Italia dal fascismo, sul valore che essi attribuivano agli ideali nei quali credevano, che professavano e per i quali pagavano un prezzo altissimo, quale quello della propria vita.

Ma cosa accadde il 23 febbraio 1933?

Il recluso politico nel carcere di Pianosa, Sandro Pertini, scrive al Presidente del Tribunale Speciale dissociandosi dalla richiesta di grazia inoltrata dalla madre.

Il futuro Presidente della Repubblica Italiana è asciutto, conciso ed efficace:

“La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia a mio favore mi umilia profondamente. Non mi associo, quindi, a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più di ogni altra cosa, della mia vita stessa, mi preme. Firmato il recluso politico Sandro Pertini”.

Pertini, infatti, non era a conoscenza della richiesta di grazia inoltrata dalla madre a causa delle gravi condizioni di salute del figlio ed interpretò il gesto materno come un grave tradimento.

Anni prima, infatti, quando era recluso nel carcere di Regina Coeli, Pertini “il libertario” aveva fatto promettere alla propria madre che non avrebbe mai ed in nessun caso presentato domanda di grazia.

Ed è proprio attraverso questa lente del tradimento della promessa fatta che deve essere letta la missiva che Pertini inviò alla amata madre dopo essersi dissociato dalla richiesta di grazia.

Lettera dai toni forti, duri che evidenziano un amore smisurato della libertà e della causa e degli ideali che erano stati abbracciati dall’Uomo che, successivamente, portò i valori dell’antifascismo e della resistenza nelle Istituzioni sino al Quirinale.

Ecco alcuni passaggi emblematici della lettera: “(…) con quale animo hai potuto fare questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato che tu hai presentato domanda di grazia per me. Se tu potessi immaginare tutto il male che mi hai fatto, ti pentiresti amaramente di aver presentato una simile domanda (…) Come si può pensare che io, pur di ritornare libero, sarei disposto a rinnegare la mia fede? E, privo della mia fede, cosa può importarmi della libertà? La libertà, questo bene prezioso tanto caro agli uomini, diventa un sudicio straccio da buttare via, acquistato al prezzo di questo tradimento che si è osato propormi (…) Mi si lasci in pace con la mia condanna, che è il mio orgoglio, e con la mia fede, che è tutta la mia vita (…) Non ho mai chiesto pietà a nessuno, e non ne voglio. Mai mi sono lagnato di essere in carcere, e perché allora propormi un così vergognoso baratto? (…) Per questo mio reciso rifiuto, la tua domanda sarà comunque respinta”.

“Ed adesso non mi rimane che chiudermi in questo amore, che porto alla mia fede, e vivere di esso. Lo sento più forte in me, dopo questo tuo gesto. E mi auguro di soffrire pene maggiori di quelle sofferte fino ad oggi, di fare altri sacrifici, per scontare questo male che tu mi hai fatto. Solo così riparata sarà l’offesa che è stata recata, e il mio spirito ritroverà finalmente la pace (…) Ti bacio (…) ps Non ti preoccupare della mia salute, se starai molto priva delle mie lettere”.

Un Pertini che potrebbe sembrare apparentemente duro nei confronti della madre ma che in realtà è solo deluso.

Deluso per il fatto che la persona da lui più amata non avesse compreso in pieno la portata dei propri sentimenti per la libertà e per i valori nei quali egli credeva che erano divenuti la sua unica ragione di vita e che non avrebbe mai tradito.

Per Sandro Pertini la libertà, la giustizia sociale, i valori del socialismo non erano in alcun modo barattabili a costo della propria vita.

Come si è detto, il futuro Presidente degli Italiani, all’epoca della reclusione, era gravemente malato ed il carcere di Pianosa non si presentava certo come il luogo più idoneo per tornare in salute ed affrontare un periodo di convalescenza.

Il 25 luglio 1934 sul giornale “Giustizia e Libertà” Carlo Rosselli così descrive il carcere nel quale era recluso Pertini: “Nelle celle si soffoca, la luce abbaglia di giorno. Di notte le cimici attaccano. Passano i giorni lunghi, eterni. Il prigioniero sogna: verrà la liberazione? I compagni morti in galera sono già a decine. Alcuni stanno morendo”.

Quanto è costato, in tale situazione, a Sandro Pertini rinunciare alla possibilità che allo stesso potesse essere concessa la grazia?

Non credo ci sia bisogno di rispondere a tale interrogativo.

Come ho detto all’inizio, di questo contributo il 23 febbraio 1933 deve puntare i riflettori sullo spessore umano di Uomini che, come Sandro Pertini, ci hanno regalato la libertà ed un sistema democratico che abbiamo il dovere di difendere, coltivare ed il cui valore deve essere trasmesso alle nuove generazioni, le quali, purtroppo, sono, ormai, abituate a vedere il trasformismo come la regola e la coerenza come l’eccezione.

Ecco perché abbiamo il dovere di ricordare il 23 febbraio 1933 e l’esempio di Uomini che sono morti o hanno rischiato la propria vita per la libertà e per i propri ideali, considerati non negoziabili, come dimostra la storia di Sandro Pertini.

Questo contributo è dedicato a mio padre che ringrazio per i valori che mi ha trasmesso primi fra tutti la libertà, la giustizia sociale, la coerenza e la dignità, le quali non possono essere mai negoziate.

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